L’Epifania nel fascino della storia

L’Epifania è una delle cinque feste di Precetto della religione cristiano-cattolica, da celebrarsi 12 giorni dopo il Natale: tale data ricorre il 6 gennaio per quanto concerne le chiese occidentali e le orientali adottanti il calendario gregoriano, il 19 gennaio per quelle orientali adottanti il calendario giuliano, con la formula liturgica “Ecce, advenit dominator Dominus”.

Il termine, di origine pagana, deriva dal greco antico ἐπιφάνεια-Epifaneia stante a significare “apparizione, venuta, manifestazione divina, rivelazione” ed era utilizzato per descrivere l’intervento di una qualsiasi divinità attraverso segni premonitori. Assunse particolare rilievo connotato alla figura di Gesù sin dai tempi di S. Giovanni d’Antiochia (anni 344-407 dell’era cristiana), andando a simbolizzare la manifestazione del Cristo quale figlio di Dio in Terra. Attorno all’anno 150 dell’era cristiana, prestando fede ad alcune testimonianze del teologo greco Clemente Alessandrino, le comunità cristiane Basilidiane stanziate in Egitto solevano celebrare la nascita del Cristo, e la sua consequente manifestazione al mondo mortale, il 15º giorno del mese di Tybi dell’antico calendario alessandrino equivalente al nostro 6 gennaio.

Fu solamente a partire dal III secolo, probabilmente nei primi decenni, che le comunità cristiane in oriente iniziarono ad associare al termine ἐπιφάνεια un significato ben preciso, connotato da tre segni rivelatori: l’adorazione del Cristo infante da parte dei Tre Magi, il battesimo del Cristo adulto nel fiume Nehar haYarden-Giordano e il primo miracolo effettuato dal Messia a Khirbet Qana-Cana. Secondo alcuni documenti fatti risalire a Giovanni di Nikiu, il Pontefice Giulio I promosse attorno all’anno 350 la celebrazione della natività al 25 dicembre (seppur la prima menzione di tale spostamento di data risalga al Cronographus 354, opera di Furio Dionisio Filocalo, nel quale si legge che la prima attestazione del Natale al 25 dicembre sia avvenuta sotto il pontificato di Marco I, nel 336), basandosi apparentemente su censimenti storici avvenuti in Palestina e recati a Roma dallo storico giudeo Yosef ben Matityahu-Titus Flavius Iosephus. Seppur tali documenti vennero considerati come fonti attendibili, degna di nota è la constatazione che i paleocristiani di Gerusalemme non festeggiavano assolutamente la natività il 25 dicembre: secondo l’Itinerarium a Burdigala Jerusalem usque et ab Heraclea per Aulonam et per urbem Romam Mediolanum usque, il più antico documento riconosciuto descrivente un itinerario di pellegrinaggio cristiano e composto da mano anonima attorno al 333-334, la presenza dei vescovi cristiani in Terra Santa era coincidente con la sola notte del 6 gennaio, più 8 giorni di celebrazioni liturgiche successive a tale data e vi è menzionata una festa della resurrezione del Cristo da collocarsi in primavera, dunque coincidente con l’attuale periodo pasquale.

La testimonianza di Giovanni di Nikiu sembrò influenzare molto Cirillo d’Alessandria (370-444), quindicesimo Papa della Chiesa Copta e, di conseguenza, da quel momento anche le comunità copte iniziarono a celebrare la natività del Cristo il 25 dicembre. Anche Giovanni Crisostomo, in netta controtendenza con quelle che erano le credenze giudaiche dell’epoca, fu un fermo sostenitore della nascita di Gesù in dicembre poiché, con una quasi certa forzatura nella lettura arbitraria dei Vangeli, interpretando la concezione del Battista in settembre e quella del Cristo sei mesi più tardi, in marzo, dichiarò come la natività non potesse esser collocata altrove se non nell’ultimo mese dell’anno. Nelle Chiese Ortodosse d’Oriente, la ϑεοϕάνεια-Teofania, corrispettivo della nostra Epifania, è celebrata in corrispondenza del 19 gennaio del nostro calendario, esattamente 12 giorni il natale ortodosso, il 6 o il 7 di gennaio (tale basculanza di data dipende dal fatto se l’anno sarà bisestile o meno): la festività della Teofania commemora il Battesimo del Cristo nella acque del Giordano, dove nella Chiesa Cattolica tale accadimento viene posto alla prima domenica successiva all’Epifania. La ragione di tale spostamento, probabilmente, è da ricercarsi in una volontà pragmatica di scindere i flussi dei pellegrini che in quel periodo si dirigevano verso il fiume Giordano e Gerusalemme; altra motivazione assai valida va ricercata nella volontà, da parte della Chiesa cristiana, di appropriarsi definitivamente della data di celebrazione del Sol Invictus, festività che al suo interno racchiudeva onorificenze volte alla sacralizzazione di una poliantea di divinità dagli attributi solari. La “manifestazione” del Messia, avvenendo 12 giorni dopo la sua nascita, assorbiva così de facto il potente simbolismo numerico proprio dei culti pagani nei quali il numero 12, legato a profonde concezioni sacrali, recitava un ruolo cardine (non certamente un caso che anche gli Apostoli del Signore venissero considerati dodici). Così facendo, oltre a soddisfare una ratio puramente pratica con una maggiore razionalizzazione delle festività dedicate al culto cristiano, si connotò l’ascesa del bimbo di Nazareth quale Dio Creatore e Onnipotente, erede dei culti solari del mondo antico ammantato, però, di una centralità spirituale come difficilmente era accaduto in Europa, se non forse nel lontanissimo periodo neolitico con la religione delle Grandi Dee Madri.